il torchietto

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– il colore delle emozioni –

Salvatore Amato è nato a Palermo il 5 Dicembre del 1935 dove è deceduto il 21 Gennaio del 2006.
Nel mondo dell’arte non è insolito trovare dei personaggi che si caratterizzano perché possiedono quella famosa ‘marcia in più’, Amato, che è uno di questi, indubbiamente era un uomo di quelli che si possono paragonare a quegli strumenti che, basta sapere come fare, emettono armonie contenenti tutte le frequenze e vibrazioni, tutti i suoni e colori, rilasciando dosi massicce di ‘star bene’.
Disquisire con lui voleva dire non porre limiti al sapere umano, per esprimere i suoi giusti concetti lui percorreva i sentieri di Dante oppure, attraversava i campi arati del Pascoli, stupiva con assonanze di schietta scienza discendente da elucubrazioni di Einstein e non di rado infilava in tutto ciò teorie rivalutate di Kant piuttosto che di Froid.
Un vero piacere di ‘insieme’ che rendeva le sue chiacchierate un’estasi continua per chi lo ascoltava e per chi non poteva fare a meno di rimanere incantato dal suo dire.
La pittura non era certo il suo asso nella manica ma, caparbio e fiducioso, senza sapere alcun rudimento tecnico, non ha tralasciato di cimentarsi anche in questa disciplina, un ennesimo modo, diceva, per esprimere ancor di più quel che gli covava dentro, usava egli stesso il forcipe per estrarre qualcosa dalle tele che si impegnava ad imbastire e con calma, passione e soprattutto con umiltà, riusciva a raccontarsi anche con quel mezzo a lui non congeniale ma da utilizzare comunque. Nulla si deve lasciare intentato, soleva dire, bisogna provare, provare e riprovare……
massimo riccobono   –   antonio cocilio

In occasione della presentazione di una mostra, Albano Rossi scrisse:
Affiora dai dipinti di Totò Amato una sottile vocazione al fantastico, ma si tratta di un fantastico prospettato in un modo affatto particolare e specifico: e cioè non quale esumazione di vecchi stilemi surrealistici,col ricorso quindi ai lessico, ormai trito e usurato, dalle associazioni inconsuete delle immagini, bensì quale riporto a umana misura di un mondo rasserenato, silente e quasi trasognato, dove all’uomo è dato di cogliere il senso di quel mistero che la consuetudine visiva ha sottratto al paesaggio, alle cose, alle creature viventi e, quindi, all’uomo stesso.
Nessuna costituita iconografia né alcun sospetto di acquiescenza a formule spente o in sviluppo nella pittura di Totò Amato, sebbene essa si volga a ricercare i termini di un linguaggio non certo privo di fermenti e risolva ogni enunciazione oggettiva nel predominio di una concreta soluzione pittorica.
Appunto perché al di là di contaminazioni espressive inconcludenti quanto ambiziose e a dispetto, anche, del quotidiano e banale revivalismo di paradigmi estetici appartenenti a un passato più o meno recente, o più o meno remoto, ma ormai definitivamente estinto e irripetibile, su cui oggi poggia il suo effimero vanto, tanta pittura incensata risulta ben chiara, nei modi offerti da questo artista siciliano, la proposta di stabilire un preciso rapporto tra la realtà e la fantasia, tra il dato oggettivo e la memoria di esso, tra natura e sogno, tra condizione pittorica e fatto sentimentale. Vale a dire, quel processo riduttivo che mira a dissimulare l’oggetto dell’esperienza comune per estrarne i «simboli» di nuovi dati percettivi.
Possiamo ancora dire che la pittura di Totò Amato si equilibra in quella coincidenza che intercorre fra conoscenza intuitiva, produttrice di immagini, e conoscenza logica, produttrice di concetti, sulla quale Croce fissa la sostanza e la ragione dell’arte: soprattutto per certe istanze espressive determinate nella luce e dalla luce, per quel respirante anelito dello spazio, per la significante presenza di un colore dal cui caldo afflato l’artista recupera sottilissime misure tonali. Una pittura, dunque, che rinuncia deliberatamente ad ogni ovvio attributo araldico perché colloca i suoi esiti nella tremula evanescenza delle immagini, perché condiziona la misura compositiva all’armonia astratta dei bilanciamenti formali. Si direbbe che il pittore si muova in uno spazio privo di squilibri e trasferisca la realtà al limite estremo della sua emozione, situandola dentro un nucleo di relazioni la cui rispondenza è da ricercarsi, appunto, tra la luce e la forma, tra il colore e lo spazio.
Immagini interamente sospese nell’alitante fiato del colore, trattenute dal dilatarsi dell’effusione luminosa. Allora, tra colore e luce s’anima lo spazio e, in questo, le forme del visibile che si fanno materia diafana e quasi incorporea. Dentro questa realtà trasognata alita un lieve incanto metafisico, si fa strada una sommessa germinazione di misteriose trepidazioni del sentimento: e ascende un attonito silenzio.
Nella orchestrazione formale in cui vanno a comporsi gli elementi figurali del dipinto, lentamente si svela il peso illanguidito dell’immagine e si avverte il tenue calore che l’accende e la trasmuta in unità trepida, in respiro segreto.
Nei nuovi dipinti di Totò Amato si è insinuata una rispondenza sempre più intima tra immagine di natura e immagine di pittura. Ma si tratta di un rapporto esclusivamente lirico, non realistico. Il pittore contempla quanto esiste intorno a lui, e sceglie dei soggetti non solo come pretesto a variazioni formali ma, più ancora, come immagine dei suoi stati d’animo: fondendo, in tal modo, contenuto e stile in figurazioni che sono insieme diario sentimentale e conchiusa, autonoma creazione pittorica.
Una sintesi vibrante di variate sensazioni ed emozioni, che la contemplazione approfondita dell’esistente fa nascere in lui. È un cristallo che scioglie la sua perfezione geometrica nella vita organica che riflette: uno specchio dell’anima.
Tutta la pittura di Totò Amato si dispiega in una fervida poetica e si risolve sulla equivalenza dell’emozione e della riflessione. Il largo e caldo respiro lirico che sorregge la strofe pittorica si carica sempre di contenuti e di significati molteplici. Quei silenzi e quelle trepidazioni che s’effondono sui paesaggi, sugli oggetti, sugli uomini e sulle loro vicende, esprimono non soltanto l’intima sostanza umana dell’artista ma discoprono soprattutto i valori di un impegno virtuoso e di una spontanea grazia creativa.

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